Carissimi fratelli e sorelle in cammino nella nostra Chiesa di Albenga-Imperia!
1. Il clima del ‘cammino sinodale’ che in questi anni avvolge il nostro impegno di discepoli missionari in questa terra benedetta ci incalza e ci permette di vivere nell’anno pastorale 2023-24 una nuova tappa significativa: la fase sapienziale; fase che ci vede raccolti in preghiera per comprendere alla luce dello Spirito del Risorto quanto il Signore ha voluto suggerire attraverso le consultazioni della nostra comunità diocesana e delle diocesi italiane. É un delicato e importante esercizio di discernimento spirituale a cui siamo chiamati per approdare nell’Anno del Giubileo del 2025 a formulare indicazioni pastorali intrise di profezia per il futuro della nostra Chiesa e delle nostre Chiese italiane.
2. Mentre lavoriamo con passione e preghiera a decifrare il linguaggio dello Spirito negli esiti del secondo anno della fase narrativa, ci vogliamo soffermare in particolare sulla seconda e terza costellazione indicateci nelle “Linee guida proposte dalla Conferenza Episcopale Italiana per la fase sapienziale del cammino sinodale della Chiesa italiana” accogliendo la sfida di ripensare “il desiderio di un rinnovato impegno e di una rinnovata competenza nella questione comunicativa e formativa”. I linguaggi della proposta cristiana, le formulazioni diventate quasi “gergali”, sono spesso sentite come inadeguate all’interno della vita della Chiesa stessa e irrilevanti per i mondi che non vi appartengono. Il tono e il contenuto delle parole della Chiesa non hanno più, spesso, “la capacità di esprimere la migliore essenza del cristianesimo, né le qualità per interpellare veramente l’esistenza delle persone: restano spesso solo “formule”, familiari agli appartenenti di lungo corso, ma poco significanti per tutti gli altri, specie per le giovani generazioni” (CEI Linee guida). Naturalmente non si tratta solo di cosmetica della comunicazione, di dire meglio cose di sempre, come avviene nell’ambito della promozione pubblicitaria. L’evangelizzazione non è il lancio di un prodotto di cui deve essere curata la proposta mediatica; l’evangelizzazione è annuncio del kerigma, di Cristo Morto e Risorto per la nostra salvezza, annuncio che vien fatto con parole ed opere da qualcuno che ha accolto il kerigma e vive di quel kerigma. Sono profondamente convinto che la scarsa efficacia dei linguaggi cristiani coinvolga in profondità questioni più ampie, tocchi il cuore del testimone di Cristo e della sua effettiva appartenenza a Cristo e del suo vivere in Cristo; la verità vissuta deborda e si raccomanda da sé. L’efficacia della comunicazione di Cristo è direttamente proporzionale all’intensità del vissuto di Cristo . Dire Cristo comporta un vivere in Cristo appassionato e sempre rinnovato. Detto questo non vogliamo sottovalutare una necessaria attenzione al come ‘dire Dio’ e al come ‘dire Cristo’ nell’oggi della storia, i linguaggi mutano e la Chiesa nel tempo ha sempre avuto una particolare sensibilità ad essi. “Il punto non è quindi trovare linguaggi più efficaci, ma entrare in nuovi paradigmi. La comunicazione, infatti, per essere credibile, ha bisogno di attingere alla vita coerentemente vissuta di chi si esprime attraverso di essa. Occorre tornare a frequentare il cortile del comune contesto culturale, non più esclusivamente dominato da una visione religiosa della vita, ma pur sempre luogo delle grandi questioni dell’uomo che attendono risposta” (CEI, Linee guida).
3. Questione formativa e questione comunicativa portano direttamente al cuore della esistenza in Cristo e al modo cristiano di generarla e nutrirla; queste modalità generative e nutritive indirizzano senza equivoci al primato della Parola e della Eucaristia nel cammino della Chiesa. “Poiché la parola di Dio è luce all’anima e il tuo sacramento è pane di vita, non potrei vivere santamente se mi mancassero queste due cose. Le quali potrebbero essere intese come le ‘due mense’ (cfr. Ez 40,40), poste da una parte e dall’altra nel prezioso tempio della santa Chiesa; una la mensa del sacro altare, con il pane santo, il prezioso corpo di Cristo; l’altra, la mensa della legge di Dio, compendio della santa dottrina, maestra di vera fede, e sicura guida, al di là del velo del tempio, al sancta sanctorum (cfr. Eb 6,19;9,3)” (Tommaso da Kempis, L’imitazione di Cristo, 1988, pp. 444-445).
4. Parola ed Eucaristia sono le due esperienze fondamentali attraverso le quali è possibile, per la comunità cristiana degli inizi e per la Chiesa di ogni tempo, incontrare Gesù, il Crocifisso Risorto. È necessario che il Risorto sia incontrato da ogni discepolo. L’annuncio in sé come proclamazione di una dottrina e di una verità non è sufficiente a se stesso; l’annuncio necessita del segno; la Parola necessita di un luogo, di una esperienza nella quale trovare posto e divenire eloquente per quanti cercano la verità, il senso della vita, la salvezza. Parola ed Eucaristia costituiscono il luogo decisivo per l’incontro con il Crocifisso Risorto. Parola ed Eucaristia sono le esperienze mediante le quali l’Evento Pasquale del Signore può essere incontrato e vissuto nella sua efficacia e in tutta la sua verità.
5. L’incontro di Gesù Risorto con i due discepoli di Emmaus riflette il vissuto eucaristico della Chiesa delle origini, al centro della quale vi sta la Parola annunciata e spiegata e l’Eucaristia condivisa: una Chiesa assidua nell’ascolto della catechesi apostolica e nella comunione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (cfr At 2,42). Parola ed Eucaristia costituiscono i due capisaldi, ovvero l’unica mensa che il Signore prepara per il suo popolo, perché cammini nella fedeltà e nella carità. San Giustino presentando i tratti essenziali della vita della comunità cristiana di Roma nel Giorno del Signore individua nella Chiesa che celebra l’Eucaristia l’icona fondamentale della sua testimonianza: “nel giorno, chiamato del sole, si fa l’adunanza di tutti nello stesso luogo, dimorino essi in città o in campagna e si leggono le memorie degli Apostoli o gli scritti dei Profeti fino a che il tempo lo permette. Quando il lettore ha terminato, colui che presiede con un sermone ci ammonisce ed esorta all’imitazione di quei bei esempi. Poi tutti insieme ci leviamo e innalziamo preghiere” (Apologia I, 67,3-7).
6. Benedetto XVI, nella Esortazione apostolica Verbum Domini richiamava il testo biblico di Lc 24,13-35 sottolineando tra l’altro: “Parola ed Eucaristia si appartengono così intimamente da non poter essere comprese l’una senza l’altra: la Parola di Dio si fa carne sacramentale nell’evento eucaristico. L’Eucaristia ci apre all’intelligenza della Sacra Scrittura, così come la Sacra Scrittura a sua volta illumina e spiega il Mistero eucaristico. In effetti, senza il riconoscimento della presenza reale del Signore nell’Eucaristia, l’intelligenza della Scrittura rimane incompiuta. Per questo “alla Parola di Dio e al mistero eucaristico la Chiesa ha tributato e sempre e dappertutto ha voluto e stabilito che si tributasse la stessa venerazione, anche se non lo stesso culto. Mossa dall’esempio del suo fondatore, essa non ha mai cessato di celebrare il mistero pasquale, riunendosi insieme per leggere in tutte le Scritture ciò che a lui si riferiva (Lc 24,27), e attualizzare, con il memoriale del Signore e i Sacramenti, l’opera della salvezza” (Verbum Domini, n. 55). Parola ed Eucaristia sono il sacramento della presenza reale, permanente, personale ed efficace del Signore in mezzo ai suoi in atto di Pasqua, di dono radicale di sé pro mundi vita. Parola ed Eucaristia sono la fonte della comunione e della fraternità, della missione nella Chiesa del Signore. Ecclesia de Eucharistia vivit, scriveva Giovanni Paolo II sintetizzando la grande tradizione patristica; non solo la Chiesa fa Eucaristia, ma è l’Eucaristia che fa la Chiesa. In una prospettiva cristiana, il credente trova nella celebrazione eucaristica della Chiesa il Verbum primo e ultimo, l’alfa e l’omega, che rivela il principio e il senso ultimo della storia nel mistero della sua Morte e Risurrezione. Infatti, il dono di Gesù in atto di Pasqua costituisce la sintesi della sua consegna, eloquente narrazione della sua pro-esistenza, interamente offerta per la vita di ogni uomo. Il dono di sé, nell’esperienza di Gesù, rappresenta l’atto ultimo della sua obbedienza alla volontà salvifica del Padre. Se all’inizio dell’opera della Redenzione il Padre consegna all’umanità il Verbo eterno, la Parola fatta carne nel Figlio unico, al suo vertice è posta l’offerta libera di Gesù nella sua morte di croce. Al dono di Dio all’umanità segue lo scambio libero e obbediente di Gesù, il Figlio nel quale, per la forza vivificante dello Spirito, la Chiesa innalza il rendimento di grazie al Padre. I sacramenti della Chiesa prolungano questa efficacia, che promana dalle parole e dai gesti di Gesù, e diventano appello alla conversione e alla sequela. L’unica mensa della Parola e dell’Eucaristia apre alla dimensione di una nuova creazione e della redenzione sempre in atto. Dalla celebrazione eucaristica si corrobora il cristiano, il discepolo; si educa il figlio ai sentimenti del Figlio, si disegnano in lui i lineamenti di Cristo, si rafforza in lui l’appartenenza a Cristo e se ne manifesta la bellezza comunicandosi nell’oggi. La sinassi eucaristica vissuta nella piena consapevolezza di ciò che vi accade[1] è l’opera della nostra rigenerazione, è la paideia più compiuta del cristiano. Formare alla Eucaristia significa formare alla misura alta della vita cristiana.
Questa dinamica comunicativo-formativa la possiamo pienamente riconoscerla nel racconto dei discepoli di Emmaus, pagina che quest’anno ci aiuterà e orienterà in questa fase del cammino sinodale. Conosciamo bene il racconto di San Luca: due discepoli sono in cammino da Gerusalemme verso Emmaus. Il loro cammino è sostanzialmente ‘dimissionario’: sono sfiduciati per il tragico concludersi degli eventi cui hanno assistito e se ne tornano alle loro case. Rinunciano alla ‘missione’ che Gesù aveva loro affidato nei giorni della sua vita terrena. Gesù li aveva mandati “a due a due” (cf. Mc 6,7; Lc 10,1) e a due a due se ne tornano via! Consideravano la crocifissione del Maestro come uno scacco, un fallimento senza speranza. Il Signore si rende a loro presente non più come nei giorni della sua vita terrena, bensì nella nuova condizione di Risorto, proprio in quella medesima maniera con cui oggi lo è a tutti noi, cioè in mysterio: nella Parola e nel Sacramento. Gesù parla con loro, spiegando il senso delle Scritture; poi si ferma e accoglie l’invito dei due a rimanere con loro ed ecco che dopo averlo ascoltato, lo riconoscono nello “spezzare il pane”. La Chiesa antica ha dato a questo gesto il nome di sinassi, ‘riunione’. È la sinassi eucaristica. I due discepoli si alzano e riprendono il cammino, questa volta all’inverso. La ‘dimissione’ si trasforma in ‘missione’ e arrivati a Gerusalemme annunciano che Cristo è risorto. È questo il loro sinodo, il loro mettersi insieme per via al fine di annunciare e testimoniare la Pasqua.
In questa pagina lucana sinassi e sinodo stanno insieme e sono l’uno conseguenza dell’altra: il ‘camminare insieme’ succede allo ‘stare insieme’, ne è lo sviluppo connaturale. Ciò avvenne in figura per tutti noi, che siamo pellegrini su questa terra alla ricerca della Città celeste e che, per questo, ci fermiamo lungo la strada (statio), per nutrirci insieme del ‘pane del cielo’ e quindi riprendere insieme il cammino. Chi cammina, avverte il bisogno di fermarsi: per un po’ di riposo, per rifocillarsi. Per questo ci è donata l’Eucaristia per essere, come fa cantare san Tommaso, cibus viatorum: ‘cibo per coloro che camminano’.
9. L’impegno del Percorso pastorale 2023-2024 sarà orientato nella nostra Chiesa diocesana a recuperare la potenzialità performativa della Parola di Dio e la ecclesiogeneticità dell’Eucaristia; Parola e Eucaristia danno forma al cristiano, strutturano l’uomo nuovo, lo educano illuminandolo, nutrendolo, trasformandolo e lo accompagnano nel processo di cristificazione fino a che ognuno possa dire ‘per me vivere è Cristo’(Fil. 1,21). La paideia cristiana non è solo opera umana, ma divino-umana: formare e comunicare sono consequenziali: quanto più il soggetto si uni-forma alla forma originaria che è Cristo, tanto più esprime efficacemente la verità che lo costituisce. La questione formativa e comunicativa si risolvono alla radice nella Forma originaria che è il Verbo e la sua dinamica kenotica che passa a ciascuno nella economia sacramentale grazie all’azione dello Spirito Santo. Per questo invito ogni comunità parrocchiale, associazione e movimento ecclesiale a porre al centro dell’attenzione pastorale di questo anno Parola ed Eucaristia. Senza questo riferimento essenziale e costitutivo il processo di discernimento che ci è richiesto dalla fase sapienziale, rischia di denaturarsi in un conversare inutile.
10. La parola chiave di questa seconda fase del cammino sinodale è discernimento. Discernereè un verbo che vuol dire vagliare, distinguere le voci del cuore che ci abitano per poter fare scelte libere, responsabili e consapevoli. È un verbo classico nella storia della spiritualità che implica cercare la volontà Dio quale si fa conoscere dal suo stile di operare. Il fine del discernimento è l’esame di come attuare la volontà di Dio conosciuta, seguendo per questo la legge del bene possibile (cfr Evangelii gaudium, 44). In Gaudete et exsultate il Santo Padre Francesco scrive: “Il discernimento è necessario non solo in momenti straordinari, o quando bisogna risolvere problemi gravi, oppure quando si deve prendere una decisione cruciale. È uno strumento di lotta per seguire meglio il Signore. Ci serve sempre: per essere capaci di riconoscere i tempi di Dio e la sua grazia, per non sprecare le ispirazioni del Signore, per non lasciar cadere il suo invito a crescere. Molte volte questo si gioca nelle piccole cose, in ciò che sembra irrilevante, perché la magnanimità si rivela nelle cose semplici e quotidiane” (n. 169). Mi sembra importante accogliere il cammino sinodale come strumento per seguire meglio il Signore, autentica scuola di discepolato. Nel cammino sinodale può accadere come nel racconto di Emmaus: all’inizio i discepoli parlano fra di loro e discutono, ma inutilmente e vacuamente. Gesù dice loro: ma che andate dicendo? “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?” (Lc 24,17). Il discorso dei due che andavano verso Emmaus diventa sensato e convincente solo quando accettano l’‘esegesi’ delle Scritture fatta da Gesù, messi da parte i loro pregiudizi e vedono il suo spezzare il pane. Solo a partire da questo punto il loro non è più un discorrere tra loro, un chiacchierare lamentoso e inconcludente (cf. Lc 24,17), ma un’autentica comunicazione.
11. Auguro a tutte le comunità cristiane della nostra amata Diocesi un anno di proficuo lavoro pastorale e di rinnovato ardore missionario: lasciamoci plasmare dalla Parola e dall’Eucaristia: diano forma alla nostra esistenza di discepoli-missionari e ci aiutino a riconoscere il Cristo divino viandante che ci accompagna fino alla conclusione della storia. Prego per tutti voi e vi benedico di cuore,
+ Guglielmo Borghetti, vescovo
Albenga, 15 settembre 2023
Memoria della B.V. Maria Addolorata
[1] “Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, mediante una comprensione piena dei riti e delle preghiere partecipino all’azione sacra consapevolmente, pienamente e attivamente; siano istruiti nella parola di Dio; si nutrano alla mensa del Corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo l’ostia immacolata, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino a offrire sé stessi” (SC,48).