‘Grazia a voi e pace da Gesù Cristo, il testimone fedele’ 1.Carissimi fedeli, questa che stiamo celebrando è una Messa particolare! “Questa messa che il vescovo concelebra con il suo presbiterio e nella quale consacra il santo crisma e benedice gli altri oli, è come la manifestazione della comunione dei presbiteri con il loro vescovo” (Coerimoniale episcoporum, 274) ed è evento che evidenzia l’intima natura della Chiesa particolare, della Diocesi. È la Messa Crismale. La nostra attenzione, oggi, è catturata dagli oli, ma lo sguardo si amplia e corre ad ogni fedele di Cristo, laico e religioso/a, ad ogni unto, a tutto il “corpo crismato” che è la Chiesa, a tutta la famiglia dei figli di Dio: ‘Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!’ (Sal 133, 1). 2.Vi invito questa mattina a volgere lo sguardo verso Gesù Cristo, “il testimone fedele“. Quel “testimone fedele” che ha reso testimonianza al Padre nel corso di tutta la sua vicenda terrena. Quel ‘testimone fedele’ che nel Mistero della sua Pasqua di Passione, Morte e Risurrezione si è rivelato come “il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra” (Ap 1,5). Lasciamoci guidare da questo titolo cristologico del Libro dell’Apocalisse, ‘testimone fedele’, in pensosa e pacata meditazione. Dopo l’intestazione, San Giovanni indica i destinatari del suo messaggio: le sette chiese dell’Asia; su di esse invoca ‘grazia e pace’, dono di Dio e frutto dell’amore di Cristo che mediante il proprio sangue ha operato la redenzione. ‘Sette’ è numero sacro nella Bibbia e sta a significare ‘pienezza’, ‘totalità’; per questo il Libro e il suo messaggio sono destinati alla Chiesa e alle Chiese di tutti i tempi, fino al ritorno di Gesù; lo sentiamo oggi ‘parola per noi’, Chiesa di Albenga-Imperia! 3.’Testimone fedele’, -ὁ μάρτυς ὁ πιστός-, assaporiamo volentieri questo titolo, quasi fosse un’oliva taggiasca buona e succosa, da frangere e spremere per farne uscire l’olio che unge e fa splendere la nostra vita di discepoli del Signore. L’Apocalisse ama designare Gesù come ‘testimone fedele’ (Ap 1,5; 3,14). Non un testimone qualunque, ma «il» Testimone, ὁ μάρτυς: quello assoluto e unico, da cui impariamo cosa sia la testimonianza; ‘il’ fedele, -ὁ πιστός-, da cui impariamo che cosa sia la fedeltà. 4. “Il” Testimone. Nel Nuovo Testamento il termine μάρτυς, da cui «martire», che letteralmente significa «testimone», non indica solo un cristiano che accetta di subire la morte per testimoniare la propria fede, né colui che dichiara di avere veduto qualcosa, o qualcuno coi propri occhi: è chi annuncia ad altri quello che ha personalmente sperimentato ed è divenuto la sua stessa vita. Così è stato testimone Gesù. Ugualmente, fra noi suoi discepoli, testimone autentico è chi si è lasciato trasformare la vita dall’incontro con Gesù Risorto e, con franchezza e libertà, lo annuncia ad altri uomini e donne perché l’accolgano. Il testimone può dire: “quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi” (1 Gv 1,3). Permettetemi di richiamare un primo aspetto della testimonianza tipico del prete: la sua scelta della “perfetta e perpetua continenza per il Regno dei cieli” (PO 16) espressa con la promessa di celibato che rinnoveremo tra non molto. “Segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale e fonte speciale di fecondità spirituale nel mondo”(PO 16). Il celibato per il Regno dice testimonianza e la testimonianza è potenziata ed abbellita dal celibato: “coelibatus vero multimodam convenientiam cum sacerdotio habet”(PO 16) ‘rapporto d’ intima convenienza’! È essenziale al celibato per il Regno il suo essere testimonianza, «martirio». E’ una modalità di vita che grida il nome di Cristo, che grida Cristo come unica ragione e unica possibilità di pienezza nell’esistenza, è il vertice dell’amore, è la nostra risposta alla predilezione di Cristo, dentro la quale impariamo ad amare tutto il resto. La continenza per il Regno espressa dallo stato celibatario non è possibile nella nostra vita senza il sacrificio. Occorre che in noi maturi un distacco progressivo da una modalità di possesso istintiva a uno sguardo che ami e rispetti l’altro nel suo essere creatura di Dio. In questo distacco dall’istintività sperimentiamo l’alba di una nuova vita. È l’esperienza del centuplo promessa da Gesù già durante questa esistenza. Questa è la vertigine del celibato per il Regno: identificandoci sulla terra con la vita di Gesù, ci fa entrare nel mistero della Trinità, nello sguardo di Dio, nel cuore di Dio. Attraverso i nostri occhi abituati alla lotta per abbraccio casto daremo agli altri la nostalgia del cielo! Tutto ciò può essere compreso soltanto alla luce della fede. Il celibato per il Regno è imitazione di Cristo, la forma più alta d’immedesimazione con la sua umanità: vivere interamente per Dio, partecipare della sua volontà, dedicare tutte le proprie energie al suo Regno nel mondo. Il prete mette il suo cuore nel cuore del Padre e dona la vita per i suoi fratelli. “Nulla e nessuno lo lega e lo divide dagli altri. Uno col Cristo, egli diviene uno con tutti” (Divo Barsotti, Spiritualità del celibato sacerdotale ). 5. “Il” fedele. Gesù è stato testimone nel segno della fedeltà: è il testimone, è il fedele! Per tutta la sua vita e in tutta la sua vita, Gesù è stato il ‘testimone fedele’; Gesù come ‘il primogenito dei morti’, si è associato alla nostra morte partecipandone tutta la drammaticità per comunicarci la sua vita di Figlio, come ‘sovrano dei re della terra’, distrugge, annienta polverizza tutti i ‘poteri forti’ che condizionano pesantemente la storia. Come note della psicologia spirituale del prete fedele in Cristo fedele, rifulgono l’obbedienza e la povertà! Con l’obbedienza “i presbiteri si conformano sull’esempio di Cristo e arrivano ad avere in sé gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (PO 15) che ha fatto della volontà del Padre il suo cibo. Con la povertà attuano lo svuotamento interiore seguendo la via di Cristo che da ricco che era si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (Cfr 2Cor 8,9). Colpiscono le parole del Concilio in PO 17 “nequaquam divitiis cor apponentes” “senza affezionarsi in modo alcuno alle ricchezze”. Continenza per il Regno dei cieli, obbedienza e povertà: tre perle preziose della testimonianza fedele a cui il presbitero è chiamato. 6. Un’assemblea misteriosa che ci rappresenta, a questo saluto risponde: ‘A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!’. É un’esplosione di gratitudine per le meraviglie che Cristo ha fatto e fa fedelmente a favore dell’umanità e della sua Chiesa: egli ci ama sempre, senza mai venir meno anche quando veniamo meno noi; ‘ci ha liberati – più propriamente: ci ha sciolti- dai nostri peccati con il suo sangue’; i peccati sono visti qui come legami che impediscono a noi, popolo regale e sacerdotale, di essere testimoni fedeli. 7. Carissimi fedeli laici, carissimi presbiteri, carissimi diaconi, carissime religiose e religiosi: è l’ora della testimonianza fedele! Se Cristo è ‘il testimone fedele’ è proprio in Cristo che il credente fonda la sua testimonianza fedele; le motivazioni profonde della nostra vita debbono radicarsi nella relazione con Cristo: “radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfr. Col 2,7). Per questo non dobbiamo confondere la testimonianza fedele con la fissità! La fissità e la rigidità sono sempre in agguato a denaturare lo stile del ‘testimone fedele’. Un grande pensatore del ‘900, Paul Ricoeur parla di un’identità dell’idem, del medesimo e di un’identità dell’ipse, del sé; la prima è l’atteggiamento di chi rimane sempre uguale, la seconda è la capacità di restare se stessi cambiando. La testimonianza fedele la inquadriamo spesso nella prospettiva della medesimezza, dovremmo più correttamente porla nella prospettiva della ipseità. Ci può essere perciò una fissità/medesimezza personale che è rigidità: non cambierò mai idea su questo o quel punto, è una mia convinzione da sempre! Ci può essere una fissità/medesimezza relazionale: con questi, con quello, con quella mai collaborare, mai avere a che fare! Ci può essere una fissità/medesimezza ecclesiale e pastorale: con le altre religioni, con le altre confessioni cristiane, con quel movimento, associazione non si dialoga; così in parrocchia, in Diocesi: le iniziative debbono obbedire rigidamente al dogma pratico” si è sempre fatto così”! Questa non è testimonianza fedele! La testimonianza fedele non è sinonimo di fissità. La fissità implica mancanza di vita, di divenire, di creatività. Non è la testimonianza fedele di Cristo! Gesù non si è limitato a crearsi il suo percorso e a rimanervi fedele, rigidamente fissato in esso; è entrato nel percorso degli uomini e lo ha condiviso in tutto, modellando la sua obbedienza al Padre nella fedeltà alla storia dell’uomo istante per istante. Proprio se si è fedeli si cambia! La fedeltà è cambiamento e non certo del depositum fidei o del magistero morale: cadremmo inesorabilmente nell’opinionismo e nell’arbitrio, nel più retrivo e funesto relativismo. La fedeltà è creativa capacità di trasformazione; non propongo una scomposta e insipiente rerum novarum cupiditas, un prurito di novità, bensì un atteggiamento di speranzoso impegno, di risposta fedele al cambiamento d’epoca che viviamo, di attenzione all’effettiva realtà dell’altro e degli altri, sempre in cambiamento. Il 18 ottobre 2014 nel discorso di conclusione del “Sinodo sulla Famiglia”, Papa Francesco ha stigmatizzato sia “la tentazione dell’irrigidimento ostile dal non lasciarsi sorprendere dal Dio delle sorprese, dal voler rimanere dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere – è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti “tradizionalisti”, intellettualisti; sia “la tentazione del buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici. È la tentazione dei cosiddetti “progressisti e liberalisti””, di quelli che altrove chiama aderenti al «progressismo adolescente», incline cioè a seguire i valori più accattivanti proposti dalla cultura dominante. La nostra Chiesa ha bisogno di seguire le orme del suo Signore, per una rinnovata stagione di evangelizzazione; casti, poveri e obbedienti; creativi e impegnati. Troppa staticità ed immobilismo possono ammorbare i nostri atteggiamenti e le nostre scelte; siamo troppo sicuri delle nostre mappe pastorali scadute, delle nostre iniziative che ci fanno sentire a posto per il solo fatto che le abbiamo ripetute anche per quest’anno, facendo contenta la gente. Occorre un risveglio di entusiasmo apostolico e missionario, uno scatto di creatività, occorre quella viriditas (Sant’Ildegarda di Bingen) pastorale per ravvivare il nostro agire apostolico; in caso contrario la nostra testimonianza fedele interpretata come medesimezza rigida e pigra, non renderà un buon servizio all’uomo, alla causa del Vangelo e alla gloria di Dio. 8. Nel capitolo 2 dell’Apocalisse, Cristo, rivolgendosi al Chiesa di Pergamo, le ricorda il suo vescovo Antipa che per il Vangelo fu messo a morte in quella città, definita ‘dimora di satana’ (Ap 2,13) e chiama Antipa ‘il mio fedele testimone’; gli attribuisce il suo titolo proprio di ‘testimone fedele’. Chi di noi non vorrebbe meritare per sé queste parole di Cristo? Merita quell’affettuoso ‘mio’ del Salvatore non solo chi è pronto a dare a Cristo la testimonianza del sangue, ma anche chi vive ogni giorno dinamicamente la testimonianza fedele alla volontà del Padre a servizio della sua famiglia umana. 9. Dacci Signore in questo Giorno Santo, per intercessione di Maria, Regina degli Apostoli, la grazia di partecipare alla testimonianza fedele di tuo Figlio per aiutarlo a portare a termine la sua missione! Sarà bello alla fine della nostra giornata terrena, con la fronte splendente del sacro crisma, presentarsi al Signore e sentirsi dire ‘Ecco il mio testimone fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone’ (Cfr Ap. 2,13; Mt 25,23). Ai presbiteri e ai diaconi permanenti un grazie speciale per la loro generosa e infaticabile collaborazione con il Vescovo e a tutti un augurio affettuoso di una Santa Pasqua di Risurrezione!
OMELIA DEL VESCOVO NELLA MESSA CRISMALE 2017
Cattedrale di Albenga. Omelia per la Santa Messa Crismale 2017