L’obolo è un gesto di fraternità antico, iniziato con la prima comunità degli apostoli, e che continua a ripetersi perché la carità è il distintivo dei discepoli di Gesù: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni verso gli altri». Con questo dono possiamo allargare lo sguardo e il cuore alla Chiesa, sparsa nel mondo, che si fa compagna di strada di famiglie e popoli in cammino per lo sviluppo umano, spirituale e materiale, a beneficio di tutte le società. L’Obolo di san Pietro, nello stesso significato delle parole, rappresenta un’offerta di piccola entità, ma con un respiro ed uno sguardo grande. È ciò che ciascun fedele sente di donare al Papa perché possa provvedere alle necessità della Chiesa intera, specialmente là dove è più in difficoltà. Tradizionalmente la colletta per l’Obolo di San Pietro ha luogo in tutto il mondo cattolico, a seconda delle diocesi, o il 29 giugno, solennità dei Santi Apostoli Santi Pietro e Paolo, o la domenica più vicina a tale ricorrenza, quest’anno, il 30 giugno. Tale forma di carità prese forma stabile nel VII secolo, con la conversione degli Anglosassoni, in collegamento con la festa dell’apostolo a cui Gesù ha affidato la sua Chiesa. È poi cresciuto nei secoli successivi con l’adesione al cristianesimo degli altri popoli europei, sempre come un contributo di riconoscenza e attenzione al Papa, quale espressione di unità e di corresponsabilità ecclesiale. Così, in ogni tempo, la Chiesa si riconosce da questo contrassegno della carità, e, mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità come suo dovere e diritto L’ inalienabile. Perciò la misericordia verso i poveri e gli infermi con le cosiddette opere caritative e di mutuo aiuto, destinate ad alleviare ogni umano bisogno, sono da essa tenute in particolare onore. La carità del Papa ha dunque questa estensione, l’intera umanità, al cui servizio sono le strutture della Chiesa. L’Obolo contribuisce per questo a sostenere anche la Sede apostolica e le attività della Santa Sede, come ebbe a ricordare papa Giovanni Paolo II: «Vi sono note le crescenti necessità dell’apostolato, i bisogni delle Comunità ecclesiali specialmente in terra di missione, le richieste di aiuto che giungono da popolazioni, individui e famiglie che versano in condizioni precarie. Tanti attendono dalla Sede Apostolica un sostegno che spesso non riescono a trovare altrove». «La Chiesa – ha scritto papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus Caritas est – non può mai essere dispensata dall’esercizio della carità come attività organizzata dei credenti e, d’altra parte, non ci sarà mai una situazione in cui non occorra la carità di ciascun singolo cristiano, perché l’uomo, al di là della giustizia, ha e avrà sempre bisogno dell’amore». Non si tratta tuttavia di limitarsi ad una comune organizzazione assistenziale, diventandone una semplice variante. «Il cristiano – sottolinea papa Francesco – non è una persona isolata, appartiene ad un popolo: questo popolo che forma Dio. Non si può essere cristiano senza tale appartenenza e comunione. Noi siamo il popolo: il popolo di Dio. Gesù ci insegna il servizio, come strada del cristiano. Il cristiano esiste per servire, e non per essere servito».
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