«Il mio sogno: la Chiesa come vera famiglia» – Intervista al Vescovo Borghetti nel 10° anniversario dell’Ordinazione episcopale.

Il Pastore si racconta a cuore aperto in un’intervista: il ricordo di ciò che è stato, le esperienze vissute lungo questi dieci anni e le sue aspettative per il futuro della comunità.

Dalla Riviera Apuana a quella Ligure, passando per l’Argentario, con tre passioni– per il Dio di Gesù, per l’uomo e per la Chiesa– e un sogno– una Chiesa che sa di famiglia: è così che si presenta Guglielmo Borghetti, vescovo di Albenga–Imperia, che il prossimo 15 settembre ricorda il decimo anniversario di ordinazione episcopale ed è per questa pagina l’occasione per una conversazione a tutto tondo. Qual è la costante della sua vita: da uomo, da prete, da vescovo? Quale il “fil rouge” che l’accompagna? «Un amore declinato in tre espressioni: la passione per il Dio di Gesù, la passione per l’uomo, quella per la Chiesa. Ciò che penso mi connoti in maniera particolare sia la passione per l’uomo che nasce dal vedere nell’uomo il Figlio di Dio. Tenuta ferma la ricerca di Dio in Gesù, tenuto fermo il fatto che non potrei pensare tutto questo fuori dalla vita della Chiesa, c’è questa passione per la persona umana che mi accompagna da sempre come costante della mia vita». L’essere vescovo la unisce in maniera del tutto particolare al successore di Pietro: chi è per lei il Papa? Cosa sono stati per lei i Papi che ha visto, conosciuto, incontrato? «Per me il Papa è sicurezza nella fede, è la Parola di Dio oggi; al di là di chi sia la persona del Papa, dobbiamo andare sempre al cuore del mistero e del ministero petrino: la Chiesa è un’esperienza di una comunità che va dietro a Gesù e che ha in Pietro il suo riferimento. Ho vissuto con Papi santi, tre canonizzati “agli onori degli altari”: sono stato sotto la loro luce magisteriale, non solo di dottrina, ma anche di testimonianza di vita. Tra loro, Paolo VI ha fatto aprire il mio cuore al mistero della Chiesa, è sotto la sua luce che è sbocciata la mia vocazione; Giovanni Paolo II ci ha veramente formato, abbiamo bevuto il suo latte e visto il suo esempio, la sua grandezza; Benedetto è il papa del mio episcopato, oltre ad essere uno dei più grandi teologi viventi del Novecento; con Francesco c’è un rapporto particolare di intensità, e, con il suo invito ad essere Chiesa in uscita, ci sta scuotendo, in meravigliosa continuità coi predecessori, ci dice che se non ci alleggeriamo non riusciamo a navigare nella complessità del mare del nostro tempo». Carrara e Massa, Pitigliano, Albenga: per usare una metafora da Cammino di Santiago, qual è la “conchiglia” che si porta nello zaino della vita dalla Riviera Apuana, dalle spiagge dell’Argentario e dalla Riviera Ligure? «Carrara e Massa hanno visto cinquantasei anni della mia vita, sono i luoghi della mia nascita, restano la matrice fondamentale della mia vita di uomo, di cristiano e di sacerdote: c’è una “giusta nostalgia” per quei luoghi che per me significano storie di vita, di giovinezza, di università, genitori, parenti, amici. Poi dieci anni fa l’esperienza “dell’esci dalla tua terra e va’”: spesso si riflette poco su questo cambiamento importante nella vita di chi diventa vescovo; vai in un posto nuovo, con volti nuovi, in mezzo a sconosciuti per i quali sei uno sconosciuto. Pitigliano è “il primo amore che non si scorda mai”: c’è l’imparare un mestiere nuovo, ma anche la gioia di sperimentare le gioie dell’essere principio di unità per una Chiesa locale; soprattutto, da Pitigliano mi porto dietro un senso di famiglia; non è una grandissima diocesi e questo mi ha permesso di coltivare dei bei rapporti coi miei preti ed è a Pitigliano che ho sperimentato la gioia particolarissima delle prime ordinazioni sacerdotali. Pitigliano è stata la “luna di miele” del mio episcopato! Venendo ad Albenga, ho avvertito la responsabilità di un impegno, di un incarico, di una fiducia, di una missione: nonostante tutte le problematiche, nonostante la fatica, mi sento a casa, mi sento in famiglia, qui ci sto bene». Infine, ci dica un sogno per la Chiesa locale di Albenga e per quella universale. «Sogno una Chiesa locale con uno stile di famiglia, con relazioni vere autentiche, non conformate da ruoli, rapporti dove ci sta l’uomo autentico: può essere così se c’è Gesù in mezzo; se non sento Gesù, la sua signoria, non si costruisce la Chiesa famiglia. È anche un sogno per la Chiesa universale!».

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