Giubileo degli operatori della carità

Per l’occasione il Direttore della Caritas Italiana, Mons. Francesco Soddu, sarà in visita alla Caritas diocesana e parlerà sul tema: «Lo stile della carità»

Visita del direttore della Caritas italiana, Mons. Francesco Soddu. L’occasione è la celebrazione del Giubileo degli operatori della carità, nella diocesi di Albenga-Imperia, in programma nel pomeriggio di sabato 3 settembre, ad Albenga, nel santuario della Madonna di Pontelungo. Monsignor Soddu, dopo l’accoglienza, prevista, alle ore 15, intratterrà, alle 15.30, i partecipanti con un incontro sul tema: «Lo stile della carità». Alle 17.45, dopo un’ora di dibattito, si varcherà la porta della Misericordia e, alle 18, il vescovo, Guglielmo Borghetti, presiederà la concelebrazione eucaristica. L’importanza della visita del direttore della Caritas italiana, ha suggerito di chiedergli una intervista sul variegato e spesso drammatico panorama e sullo stile di come deve essere la Caritas diocesana.

   Intervista a Mons. Francesco Soddu Direttore di Caritas Italiana   Diseguaglianze, mancanza di tutele, accoglienza, giovani e famiglie in difficoltà… Il panorama delle sfide cui far fronte è davvero ampio. Come tutto questo  interpella le nostre comunità cristiane?

Come Caritas ci sentiamo innanzitutto chiamati ad intensificare l’ impegno pastorale del nostro essere cristiani, avendo ben chiaro quanto Papa Francesco ricorda sempre alla Chiesa ed  ha ripetuto lo scorso aprile nell’Udienza per i 45 anni di Caritas Italiana: «I poveri sono la proposta forte che Dio fa alla nostra Chiesa affinché essa cresca nell’amore e nella fedeltà». Ed ancora nella “Evangelii gaudium”, non siamo noi a scegliere su che cosa operare, ma è il “grido” del nostro popolo a indicarci le priorità del nostro impegno.

  Con quale stile?

Per far questo occorre una pastorale non astratta che, confrontandosi quotidianamente con le persone, con i problemi, con lo sviluppo di un territorio, contestualmente ha l’opportunità di verificare il proprio grado di discepolato cristiano. Proprio per questo bisogna presidiare le nuove forme di inclusione sociale dei poveri, di sviluppo di comunità, di welfare generativo, nuovi percorsi di coesione sociale, di volontariato e di servizio, di accoglienza diffusa, di coinvolgimento dei giovani, di partecipazione dal basso, di discernimento comunitario, di innovazione sociale, di educazione ad una ecologia integrale, alla pace, all’interculturalità, alla responsabilità verso l’ambiente, alla mondialità.
 

La Chiesa parla anche attraverso le opere. Di fronte ai bisogni crescenti deve fare sempre di più?

Spesso necessità sempre più grandi fanno emergere la fatica che le nostre comunità cristiane vivono e un senso di inadeguatezza o di estraneità rispetto all’identità delle comunità stesse, riguardo a uno stile pastorale e di presenza territoriale diverso. Pertanto, non si tratta di fare di più, ma di essere più consapevoli; del proprio essere e dei cambiamenti che stanno modificando i nostri territori e che pongono in maniera ancora più pressante la domanda su come offrire risposte in primo luogo coerenti riguardo all’essere cristiani, nonché adeguate a questo tempo e ai bisogni che incontriamo.
 

Dal punto di vista operativo questo cosa comporta?

Si tratta di essere paradossalmente più consapevoli della nostra debolezza, dei nostri limiti ed anche dei nostri errori, per chiedere più aiuto, stringere più alleanze non solo su ciò che “noi” crediamo giusto fare, ma anche su ciò che ci viene chiesto dalle condizioni di fatica di chi incontriamo e dalle opportunità, anche deboli, che i nostri territori fanno emergere. Esemplificando potrà dirsi valido un intervento se emancipa i poveri, realizza giustizia, suscita libertà, diffonde umanità, promuove accoglienza, stimola partecipazione.
 

È dunque possibile tenere vivo il messaggio cristiano in tempo di crisi? Come?

Restando segno di speranza. La crisi chiede alle nostre comunità un impegno inedito: non solo innovare lo stile della prossimità, ma mettere a disposizione il capitale fiduciario, sociale e relazionale che le Chiese locali rappresentano, come strumento per costruire coesione e come premessa per forme di sviluppo locale in parte ignorate e in parte da riscoprire, al fine di contribuire alla ricostruzione di comunità territoriali consapevoli, solidali e capaci di speranza.
Facebooktwitterrssyoutube