Cristo nostra Speranza: con Lui tutto è possibile,
senza di Lui tutto è nulla
1. Ogni anno Giuseppe, Maria e Gesù fanciullo – la Santa famiglia -, si recano a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale, conformemente alla legge del Signore; ogni venticinque anni – ordinariamente – la nuova santa famiglia dei figli di Dio composta da tutti i fedeli di Cristo (christifideles) – la santa Chiesa -, si reca a Roma per vivere il Giubileo.
2. Gesù ha dodici anni, non ancora tredici; secondo la legge ebraica non è ancora ‘adulto’. I ragazzi vengono riconosciuti come responsabili del proprio agire sul piano religioso a tredici anni, quando celebrano il Bar Mitz-wàh (letteralmente ‘figlio del precetto’). Gesù osserva un anno prima l’obbligo, in anticipo. È davvero molto interessante ed utile per noi quello che accade in quella circostanza. Compiuto quanto dovevano compiere secondo le prescrizioni, Maria e Giuseppe intraprendono il viaggio di ritorno senza accorgersi che Gesù non è con loro, procedono ugualmente per una giornata pensandolo in compagnia degli amici e dei parenti della comitiva; quando si accorgono che non è dove pensavano tornano a cercarlo a Gerusalemme. Lo trovano dopo tre giorni nel Tempio in mezzo ai maestri, ai sapienti, ai dottori della legge. È nel Tempio tra i saggi conoscitori delle Scritture Sacre: li ascolta, li interroga, pone loro domande, risponde. A dodici anni discute con i maestri della legge. L’evangelista Luca dice che prima di parlare Gesù ascolta, interroga, pone domande e solamente alla fine da le sue risposte; ma la prima cosa che il Signore fa è ascoltare. Questa è la descrizione del modo di essere presente del Signore in mezzo a noi: ascolta, interroga e poi risponde. Tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore. Seppur traduciamo con ‘stupore’, l’evangelista adopera un’espressione che indica una meraviglia irritata: come dire ‘che vuole questo ragazzino’? Anche noi ci chiediamo: che cosa mai gli ‘bruciava dentro’ in quei giorni, al punto da comportarsi così, rimanere nel tempio, lasciare papà e mamma senza dir loro nulla, al punto da impensierirli e farli preoccupare non poco. Quali pensieri, quali sentimenti, quali inquietudini, quali domande gli passavano per la testa! Questa pagina evangelica ci presenta un ‘Gesù discepolo’, ragazzo credente, dotato di ‘un cuore che ascolta’, capace di porsi domande e di dare risposte. Come Samuele cominciò a profetizzare a dodici anni, come Daniele a questa età disse una parola di sapienza, così Gesù manifesta che nella sua crescita, quello che più cercava e più lo coinvolgeva era la presenza del Signore, del Padre! “Non sapevate che devo stare presso il Padre mio?”. Egli ha un Padre che è il suo vero Padre, da lui riconosciuto come tale: è Dio, e Gesù, ora che è cresciuto, deve stare, rimanere presso il Padre, nel Tempio che nel suo centro, nella sua parte più interna ha il Sancta Sanctorum, il luogo della Divina Presenza perché vi è collocata l’Arca dell’Alleanza (Es. 26,34). Gesù deve stare presso il Padre, è una necessità per lui. Questa è la sua volontà e la sua missione: compiere ciò che Dio suo Padre gli chiede. Ma ogni volta che Gesù ha detto: “è necessario”, chi lo ha ascoltato non ha compreso. Qui si tratta dei suoi genitori, più tardi saranno i suoi discepoli.
3. Che cosa mai ‘bruciava dentro’ a questo “adolescente straordinario” (San Giovanni Paolo II), che cosa avrà mai chiesto, su cosa si sarà sviluppata la conversazione con i maestri e i saggi. Con certezza non lo sapremo mai, ma sicuramente si trattava di questioni decisive, importanti, radicali, questioni e domande che stanno nel profondo della nostra coscienza e prima tra tutte la presenza di Dio ; coloro che sono attraversati da queste domande sono in ricerca e crescono come Gesù in “sapienza e grazia”: egli è un ragazzino curioso, capace di segnalarsi per le domande che sa fare. L’“adolescente straordinario” si fa interprete e maestro del nostro bisogno di interiorità, di ricerca della verità.
4. L’Anno Santo risponde a un bisogno profondo del cuore dell’uomo: trovare un luogo e un tempo privilegiati dove porsi le domande fondamentali della vita, dove la grazia, il perdono e la conversione possano fiorire con più facilità prima di tutto chiarendoci sul che cosa stia al primo posto nella nostra vita. Si tratta di affrontare le questioni fondamentali concernenti l’esistenza di Dio, la presenza del male nel mondo, l’amore, la morte, l’individuazione di ciò che conferisce un significato alla vita e da i criteri del bene e del male. Nell’epoca in cui la pervasività della tecnica sembra risolvere e neutralizzare ogni bisogno di interrogarsi, di pensare, siamo chiamati a riscoprire che siamo capaci di andare in profondità ed individuare i grandi fini della esistenza dell’uomo. Grande è il rischio prospettato da un pensatore importante del secolo scorso quando dice che “viviamo in un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi corrisponde l’anoressia dei fini” (P. Ricoeur) e si rischia di non trovare più il senso della vita. Søren Kierkegaard già nell’Ottocento diceva: ‘La nave è in mano al cuoco di bordo. E ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani’. “Chi non conosce il senso della vita è come uno che si mette in treno e verifica la solidità delle poltrone, la velocità oraria del convoglio, tutto l’insieme dei meccanismi che costituiscono il treno, ma non sa dove sta andando e da dove è venuto (Vittorio Messori).
5. La Chiesa con l’Anno Santo ci ripropone il metodo di Dio: la predilezione di un posto e di un momento per il Suo operare nel mondo. Roma fu scelta proprio perché ‘arrossata’ dal sangue dei santi Pietro e Paolo. “Va’ a Roma dove le strade sono arrossate dal sangue dei santi e dove, per le indulgenze meritate dai Pontefici, la via per il Cielo è più breve”. Fu per seguire questo invito, rivoltole da Cristo e riferito in una delle sue Rivelazioni, che santa Brigida prese la strada di Roma in occasione del Giubileo del 1350. Anche noi prendiamo la strada per Roma o anche più semplicemente, ma non meno efficacemente, quella della nostra Cattedrale e della nostra Concattedrale e rallegriamoci per i doni di Dio: la sua misericordia, il suo perdono pienissimo riscoprendo il Sacramento della Penitenza, la preghiera assidua e profonda, la lettura delle Sacre Scritture e i gesti della carità concreta e discreta. Il Papa invoca e noi con lui, la speranza come dono nel Giubileo del 2025. La speranza cristiana per un tempo segnato marcatamente dalla perdita della verità, dallo smarrimento per la perdita del senso e del valore della vita, dei suoi fini, del suo destino; la speranza cristiana per un mondo scosso dal frastuono delle armi, dall’odio verso il prossimo, dalla fame, dal “debito ecologico”, dalla scarsa natalità, dalle ingiustizie e dal preoccupante imporsi di un uso non umano dei progressi della tecnoscienza. La speranza è entrata nel mondo a Betlemme! Là ci è stata donata! La speranza è un dono che è compito da realizzare nella riscoperta profonda della nostra appartenenza a Cristo: con Lui tutto è possibile, senza di Lui tutto è nulla. Cristo nostra speranza non delude!
Albenga, 29 dicembre 2024
+ Guglielmo Borghetti