Omelia per la santa Messa Crismale del giovedì santo 2018

Gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (Lc 4,20) Cari sacerdoti e fedeli, 1. la scena che si svolge nella sinagoga di Nazaret è fortemente evocativa e paradigmatica. Esprime un modello di Chiesa che vale per tutte le generazioni. In ogni tempo occorre che Cristo sia il centro della Chiesa e del mondo e che “gli sguardi di tutti siano fissi su di lui” (Lc 4,20). Gli astanti guardano Gesù con una attenzione piena di attesa, con ‘uno sguardo pieno di attesa’. La suspance creata dall’evangelista con abilità (con l’utilizzo di un verbo tipico di Luca ἀτενίζω, essere attento, fissare, ricorre due volte in Lc, 10 in At) suggerisce che sta per compiersi qualcosa di veramente nuovo. Nella solenne eppur famigliare atmosfera di questa liturgia crismale, anche noi dobbiamo volgere i nostri sguardi su di Lui. In questo Anno Pastorale ci stiamo impegnando a fissare lo sguardo su di Lui, autore e perfezionatore della nostra fede (cfr Eb 12,2,): “quando, infatti, tu rivolgerai lo sguardo più profondo del cuore verso la contemplazione…del Figlio unico di Dio, allora i tuoi occhi vedranno Dio. Felice assemblea, quella di cui la Scrittura attesta che gli occhi di tutti erano fissi su di lui!” (Origene, Hom. Lc. 32,6). Felici noi se i nostri sguardi saranno tutti concentrati su Gesù, sommo ed eterno sacerdote e se, guardando al suo sacerdozio, impareremo a contemplare/stimare/onorare il sacerdozio di cui tutti noi siamo rivestiti in forza del nostro Battesimo! E se tutti noi presbiteri ricomprenderemo a contemplare/stimare/onorare il sacerdozio ministeriale al quale siamo stati chiamati e inseriti in forza del sacramento dell’Ordine! 2. Cristo è il vero e unico sacerdote, perché unica e irripetibile è la mediazione fra Dio e gli uomini che solo lui può offrire. Egli è insieme altare, vittima e sacerdote, colui che offre il sacrificio e colui che si offre in sacrificio; il suo sacerdozio, come il suo sacrificio, non è affatto rituale, ma è talmente vitale da essere un unicum così singolare che non ha bisogno di alcun altro completamento. Cristo è costituito sacerdote, “non secondo la legge di prescrizioni carnali, ma per una forza di vita indistruttibile” (Eb 7,16). I Padri della Chiesa “meditando la Parola di Dio, non esitarono ad affermare che Cristo è vittima, sacerdote ed altare del suo stesso sacrificio” (Ordo dedicationis Ecclesiae et altaris, IV/1.3) A nessuno sfugge la bellezza e la profondità di questa espressione. Essa sottolinea che in Cristo sorge un nuovo sacerdozio e sono ricapitolati e portati alla perfezione tutti i sacrifici precedenti perché in lui si opera un’unità inscindibile tra sacrificio, sacerdote e tempio. Il suo corpo immolato è nello stesso tempo il sacrificio offerto, il ministro che lo offre e il luogo dove è offerto. L’altare rappresenta questa unicità e novità del sacerdozio e del sacrificio di Cristo, avvenuto “una volta per tutte” sul Calvario e celebrato “ogni volta” nell’Eucaristia. Per questo è giusto parlare della piena identificazione dell’altare con Cristo: l’altare è Cristo! (cfr Ordo dedicationis Ecclesiae et altaris, IV/4). 3. In questa messa crismale fissando lo sguardo su Gesù, contempliamo il suo sacerdozio attratti dalla bellezza incomparabile del suo mistero, consapevoli della sua unicità, affascinati dalla sua insuperabilità. Nello stesso tempo, come in uno specchio, riconosciamo la nostra dignità sacerdotale. Siamo un popolo sacerdotale in quanto siamo partecipi della  missione di Cristo profeta, sacerdote e re. Il battesimo ci rende tutti sacerdoti perché ci innesta nel corpo di Cristo e ci consacra per essere nel mondo la manifestazione della comunione tra Dio e l’umanità. Dal sacerdozio battesimale scaturisce un compito che accomuna tutti i fedeli e rende ragione della corresponsabilità di tutti i cristiani alla comune missione: “i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, sacrifici spirituali, e far conoscere i prodigi di colui, che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce. Tutti quindi i discepoli di Cristo […] offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio (cf. Rm 12,1), rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della speranza che è in essi di una vita eterna” ( Lumen Gentium, 10). Come Cristo, tutti i cristiani sono chiamati a vivere il “culto spirituale” offrendo la propria vita in sacrificio di soave odore a Dio attraverso un cammino di santità che non escluda la possibilità del martirio. Questa è la dignità del sacerdozio battesimale. “Immensa dignità del sacerdozio cristiano! L’uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. L’uomo non cerca fuori di sé ciò che deve immolare a Dio, ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica a Dio per sé…(San Pietro Crisologo, Disc. 108; PL 52, 499-500). 4. In questo popolo tutto sacerdotale, tuttavia, i pastori sono chiamati sacerdoti in un modo speciale. Il loro sacerdozio è un servizio di ripresentazione sacramentale di Cristo di fronte alla comunità. Configurati a Cristo sommo ed eterno sacerdote, i ministri ordinati attuano e perfezionano il sacrificio spirituale di tutti i fedeli celebrando insieme a loro, come presidenti, il memoriale del sacrificio di Gesù. La differenza essenziale tra le due forme di sacerdozio la si può rinvenire nel servizio specifico che il sacerdozio ministeriale offre a quello battesimale, con la parola, con i sacramenti e la guida pastorale, perché il popolo di Dio si mantenga unito al suo Capo e Signore. Innestati nel sacerdozio di Cristo, i ministri ordinati sono segno di Cristo Capo, Sposo, Servo, Pastore e hanno il compito di mettersi a servizio del sacerdozio battesimale di tutto il popolo di Dio, vivendo il proprio ministero saldamente ancorato al mistero nel quale sono stati inseriti. La carità pastorale è il supremo criterio della vita e della missione del sacerdote; una carità che è capace di unire azione e contemplazione, ministero e raccoglimento, preghiera e ufficio pastorale, unione con Dio e servizio in favore degli uomini. Il sacerdote è mediatore tra Dio e il popolo: è posto di fronte al popolo per rappresentare la figura del vero e supremo Pastore, ed è inserito nel popolo per condividere con tutti il cammino della sequela dell’unico Maestro; invoca su tutti la misericordia di Dio, e la offre a tutti attraverso l’azione sacramentale; presenta al Signore le richieste dei fratelli, ed elargisce loro i frutti della loro preghiera 5. Carissimi fratelli sacerdoti, siamo stati consacrati per appartenere a Cristo e per servire il popolo di Dio. Vivendo questa duplice fedeltà, rivolti ai nostri fedeli, dovremmo esclamare con sant’Agostino: “Siamo vostri pastori, con voi siamo nutriti. Il Signore ci dia la forza di amarvi a tal punto da poter morire per voi, o di fatto o col cuore (aut effectu aut affectu)” (S. Agostino, Sermo de Nat. sanct. Apost. Petri et Pauli ex Evangelio in quo ait: Simon Iohannis diligis me?: ex Bibliot. Casin. in Miscellanea Augustiniana, vol. I, dir. G. Morin O.S.B., Roma, Tip. Poligl. Vat., 1930, p. 404, cit. in PdV 25). Sì, siamo chiamati a pascere il gregge di Dio, “pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce” (1Pt 5,2-4). Il ministero sacerdotale non è altro se non un mistero d’amore servizievole e consiste in questo: amare Cristo e, per amore a Cristo, offrire la vita per fratelli. Mi chiedo con voi: la nostra Chiesa diocesana ha lo sguardo fisso su Cristo? Il nostro presbiterio ha lo sguardo fisso su Cristo? Nel nostro presbiterio c’è la tensione al primato dell’amore servizievole? Siamo pronti a ‘lavarci i piedi gli uni gli altri’? Servizio d’amore evangelico è anche accoglienza, vicinanza, compassione, misericordia, tenerezza: è così tra noi? Il nostro atteggiamento nei confronti della porzione del popolo di Dio che ci è concretamente affidata è scevro da ogni presunzione e da ogni desiderio di ‘spadroneggiare’? Ci lasciamo guidare non da interessi umani, ma dall’amore verso i nostri fratelli? Siamo pronti ad amare il nostro popolo fin a morire per loro “o di fatto o col cuore”? Apriamo le braccia e accogliamo il nostro popolo con affetto e tenerezza, soprattutto i poveri, i piccoli? Il nostro stile di vita è umile, povero, sobrio? Con le nostre comunità siamo pronti ad uscire, ad andare, “la Chiesa è chiamata ad uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria” (Bergoglio/Francesco, 9 marzo 2013). Abbiamo a cuore l’unità della Chiesa, il compito di visibilizzare ciò che Cristo ci ha conquistato con la sua morte e risurrezione o il chiacchericcio ‘diabolico’, divisivo, travolge i nostri incontri occasionali e non ? Tra poco vi inviterò a pregare per me. Consapevole della mia fragilità, portatore di  un tesoro prezioso in un vaso di creta, posso svolgere la mia missione – “diventare tra voi ogni giorno di più immagine viva e autentica del Cristo sacerdote, buon pastore, maestro e servo di tutti” – solo se il popolo che mi è stato affidato prega per me. Alle sorelle e ai fratelli laici e religiose chiedo di pregare ancor più per i vostri sacerdoti. Chiedete al Signore che lo Spirito di santità, che è stato invocato su di loro il giorno dell’ordinazione sacerdotale, dimori sempre in loro e li renda santi come Lui è santo, li renda amore come Lui è amore. Lui che è comunione li renda costruttori di unità, operatori di pace, servi premurosi di tutti, in particolare dei “più piccoli”. Quando vedete la loro stanchezza o un calo di entusiasmo, quando vi sembra che non stanno dando tutto quello che vi aspettate, non giudicateli, state loro vicini, fate sentire loro il calore della comunità, pregate ancora di più per loro. Il dono più bello che potete fare loro è vivere intensamente la vocazione cristiana, che comporta il sentirvi non gregari, ma corresponsabili della vita e della missione della Chiesa.

Infine vi invito a pregare per le vocazioni al ministero sacerdotale, in particolare oggi che ricordiamo la nascita del sacerdozio ministeriale. Il Signore ci doni sacerdoti santi, sapienti, esperti in umanità perché esperti di Cristo Gesù, radicati in Lui, di lui amici, unificati in Lui! Così sia.
 
Cattedrale di Albenga, 29 marzo 2018
 
   X Guglielmo BorghettiVescovo di Albenga-Imperia
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